mercoledì 9 settembre 2015

Il gioco del rovescio di Antonio Tabucchi


FELTRINELLI
Data d’uscita: Maggio, 1991
Collana: Universale Economica
Pagine: 176
ISBN: 9788807811746
Tascabili



 

Un maestro del racconto 

Tabucchi si conferma maestro nel racconto, più che nel romanzo a mio parere, eccezione fatta per "Sostiene Pereira".
Ormai si sa,  sono di parte, quindi siete avvisati.
Mi sono bevuta il primo racconto "Il gioco del rovescio" con amore, potendo visualizzare i luoghi  dove è ambientato e percependo la saudade che conosco. Leggere di una città amata  e in cui si è stati è bellissimo, per non parlare di come il caro Tabucchi abbia la capacità di raccontare il nulla, l'evanescenza,  è lo scrittore dell'impalpabile, dell'inafferrabile secondo me.
Nel secondo racconto "Lettera da Casablanca" sono rimasta nuovamente stupita da come l'autore sappia scrivere di drammi con tale leggiadria, pulizia, purezza. L'ho trovato un racconto bellissimo, poetico, pulito.
"Teatro" È stato piacevole seppur non mi abbia emozionata.
"I pomeriggi del sabato"mi ha lasciata perplessa. So che da Tabucchi non ci si possono aspettare troppe spiegazioni ma in effetti in questo racconto mi sono sfuggite troppe cose, non l'ho proprio afferrato, o forse ho capito che parlava di fantasmi e non ho voluto crederci?. Sicuramente racconta un'atmosfera in modo sublime.
Ciò che mi piace e allo stesso tempo mi destabilizza è l'impossibilità di fare due più due; io che ho la necessità di razionalizzare, spiegare, aggiustare le cose per bene e tenere tutto sotto controllo con Tabucchi rimbalzo malamente, eppure, forse proprio per questo non assecondare la mia mania, mi affascina.
Il racconto "Il piccolo Gatsby" non mi è piaciuto a dire la verità. L'ho trovato caotico, la trama si segue  male e tanto per cambiare mi confonde. Comprendo bene l'atmosfera perché ho letto "Il grande Gatsby" e ce la ritrovo seppur l'ambientazione geografica non sia la stessa, tuttavia  la maggior parte dei personaggi rimandano a "Tenera è la notte" e, non avendolo ancora letto,  qualche citazione velata  non riesco a coglierla.  Resta il fatto che non ho apprezzato molto questo racconto.
"Dolores Ibarruri versa lacrime amare" è un racconto di due o tre paginette molto suggestivo, che condensa l'amore cieco e ottusamente incredulo di una madre, l'impossibilità di accettare che il proprio figlio possa essere un terrorista(?). L'ho trovato emozionante.
In "paradiso celeste" Tabucchi riesce a tirar fuori un racconto da un aneddoto che si potrebbe descrivere in tre minuti. Scritto in modo deliziosamente dettagliato, racconta una storia tutto sommato leggera, e che finisce in modo ironicamente amaro.
Anche in "Voci" ovviamente troviamo il finale a sorpresa, una sorta di rovesciamento dei ruoli, mi è piaciuto ma non eccessivamente.
Con questi racconti l'originaria raccolta sarebbe terminata, nella versione di Feltrinelli che ho io invece alla fine sono inseriti altri racconti che vanno dal 1981 al 1985.
Mi è piaciuto molto "Il gatto dello chesire", alla fine del quale mi sono chiesta: paura, vendetta o consapevolezza? Cosa spinge il protagonista a non scendere da quel treno? Ovviamente mi aspettavo un chiarimento, una spiegazione, ma altrettanto ovviamente aspettarsi questo da Tabucchi è assurdo. I suoi racconti sono come piccole porzioni di dolce, ti lasciano sempre insoddisfatta e con la voglia di averne ancora, ma l'autore ti lascia a dieta. 
"Vagabondaggio" è il racconto ispirato al poeta Dino Campana, sinceramente non mi ha colpita in modo particolare eccezione fatta per questa frase che vale da sola cinque stelle :
"E quella era la strana funzione dell'arte: arrivare quel caso a persone a caso, perché tutto è caso nel mondo, e l'arte ce lo ricorda, e per questo ci immalinconisce e ci conforta. Non spiega nulla, come non spiega il vento: arriva, muove delle foglie, e gli alberi restano attraversati dal vento, e il vento vola via."
E concludendo, vergognandomi un po', "Una giornata a Olimpia" che  non sono riuscita a finire in quanto il racconto mi è parso noiosissimo.

CITAZIONI
"La Saudade, diceva Maria Do Carmo, non è una parola, è una categoria dello spirito, solo i portoghesi riescono a sentirla, perché hanno questa parola per dire che ce l'hanno, lo ha detto un grande poeta. E allora cominciava a parlare di Fernando Pessoa."

"perché la finzione dichiarata è molto più accettabile della finzione finta"

"Anche i più disperati, hanno una cosa che in fondo li interessa, anche quelli che sono più staccati dalla realtà."

"Perché il tempo passa e divora le cose, forse rimane solo l'idea."

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