lunedì 27 gennaio 2014

Intemperie di Jesùs Carrasco

Copertina di Intemperie

Bellissimo e Spietato 
 
Quando mi dedico a letture di questo genere ringrazio di essere nata dove sono nata e nell’epoca in cui sono nata, perchè ad una vicenda simile non sarei sopravvissuta.
Ho acquistato questo libro mossa dalle critiche entusiastiche lette, che, una volta tanto, si sono rivelate veritiere, ma la sua lettura mi è costata una fatica immensa a causa dell’argomento trattato e delle descrizioni brutali di quella che sicuramente è stata, e per alcuni ancora è, una realtà. Esistono ad oggi culture retrograde che vivono la crudeltà come un fatto normale al quale assoggettarsi.
Carrasco è uno scultore di frasi, mette insieme le parole in modo splendido, parole talvolta poetiche e talvolta di una crudezza inaudita, ma che insieme formano un vero e proprio ricamo letterario a rilievo.
Questa storia poteva essere scritta in mille modi diversi molti dei quali validi, Carrasco ha adottato uno stile di una maturità sorprendente, nessun pietismo che voglia portarti alle lacrime, una profondità ed un’umanità fortissime, uno stile che passa dall’asciutto senza essere minimalista alla poesia pura. Ho trovato una cura estrema nella scelta della terminologia, parole evocative abbinate anche in modo insolito tra loro, volgarità e ricercatezza unite insieme che rendono l’insieme quasi magico.
Una scrittura che tiene con il fiato sospeso seppur non racconti una storia d’azione, moltissime le descrizioni del paesaggio, dei piccoli gesti ripetitivi, di come ogni piccola cosa debba essere conquistata con una fatica immane, di come le “intemperie” condizionino la vita del piccolo protagonista e dei suoi compagni di cammino.
Non ci sono molte descrizioni di stati d’animo, la vita è così dura che non ci sono nemmeno le forze per avere pensieri che esulino dalla basilare lotta per la sopravvivenza, qualsiasi velleità umana di ordine superiore è annientata.
Un libro aspro dove non c’è posto per molto altro se non le azioni volte a sfuggire alla morte.
Durante questa lettura ho trovato un’affinità con un paio di film di Guillermo Del Toro, di cui ne consiglio la visione nel caso leggiate questo libro e lo apprezziate: La spina del diavolo (El espinazo del diablo) (2001) e Il labirinto del fauno (El laberinto del fauno) (2006).
Il libro e questi film hanno la stessa matrice latina, la stessa commistione di crudezza della storia abbinata ad una certa dolcezza dello stile, bambini protagonisti di vicende terribili sul terreno spagnolo ...
Probabilmente se avessi immaginato prima tutta questa implacabilità non avrei scelto di leggere questo libro o di vedere i film sopra citati, ma sono contenta di averlo fatto, perchè nonostante la sofferenza arrecatami, mi hanno dato un’emozione profonda e per lo stile in cui sono stati realizzati sarebbe stato un peccato fare a meno di conoscerli. 

Citazioni:

“Il suo sguardo, assente, era rimasto ingarbugliato da qualche parte del suo incubo...” 

“ Il massimo che ottenne fu che il pastore si fermasse, ma non per aspettarlo, bensì per fingere di versare acqua da una brocca vuota.” 

“ IL pensiero come uno scalpello freddo sulle molli fontanelle del suo cranio o un bisturi affilato che solleva la pelle dei gomiti in cerca del bianco dell’osso.” 

“ Lui stesso era ricorso alla violenza, come aveva visto sempre fare a coloro che lo circondavano e adesso, al pari di loro, reclamava la sua parte di impunità. Le intemperie lo avevano spinto molto più in là di ciò che sapeva o non sapeva della vita. Lo avevano condotto fino ai confini della morte e , da qui, in mezzo a un campo di terrore.”

Nessun commento: